Da una ricognizione effettuata dalla Società Archeologica Viterbese “Pro Ferento” in data 30/03/2003 in località Macchia Grande, Necropoli “Il Querceto” nel Comune di Viterbo, in una camera ipogea già profanata, è stata rinvenuta un’urna cineraria di tufo pozzolanico (coperchio a doppio spiovente con cordolo centrale rialzato, con fasce rettangolari incise su tutti i lati esterni della cassa e da due decorazioni incise, campite di rosso) di altri frammenti di ceramica riferibili ad una lagynos, altri due oggetti di forma chiusa.
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Il recupero dei materiali è iniziato il 28/04/2003 dalla stessa Società in collaborazione ed autorizzazione della Soprintendenza archeologica per l’Etruria meridionale, grazie alla disponibilità dell’Ispettrice Dott.ssa Valeria D’Atri, dall’Assistente di zona sig. Giuseppe Cossu con la direzione dell’archeologa Chiara De Santis alla quale si deve la relazione che segue.
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Al momento della scoperta i frammenti dell’urna erano disposti in maniera disordinata all’interno dell’ipogeo, l’accesso alla camera sepolcrale era occluso dalla massa di terra e di detriti esterni che saturavano, il dromos.
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L’analisi dei reperti e la possibilità di recupero di altri rilevanti frammenti hanno portato la Società Archeologica Viterbese “Pro Ferento” ad eseguire per conto della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale ulteriori indagini consistenti nella ripulitura e nel parziale scavo della tomba. Il materiale recuperato, riferibile ad una sepoltura femminile, consistente in n° 5 unguentari di argilla e n° 2 in vetro (uno dei quali in pasta vitrea con motivo ad occhio di pavone nei colori azzurro, bianco e ruggine su fondo blu), un paio di pinzette ed uno specchio in bronzo, presumibilmente posizionati in un contenitore ligneo per il ritrovamento di piccoli elementi, sempre in bronzo.
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Le lucerne recuperate (frammenti) ammontano complessivamente a tre. Una di esse, con decorazione fitomorfa, mostra sul disco, intorno al foro centrale, degli elementi decorativi a rilievo che sembrano essere identificabili con due gigli e due foglie d’acanto.
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Sono emersi anche degli elementi in ferro, parte di un fascio di verghe, nello specifico una serie di spiedi o comunque di utensili per il focolare, legati insieme e tra loro saldati in seguito ai processi di ossidazione del metallo.
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La presenza di resti antropici e dell’urna cineraria evidenzia che la camera ha ospitato sia deposizioni ad inumazione che sepolture ad incinerazione
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si rimanda alla consultazione
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La tomba nella sua prima realizzazione sembra cronologicamente ascrivibile tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. Gli elementi acquisiti inducono ad ipotizzare un uso della tomba da parte di più generazioni fino ad un periodo collocabile almeno entro il primo quarto del I sec. d.C
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primaria a causa delle violazioni cui è stato sottoposto l’ipogeo. A tale proposito va inoltre sottolineato che gli oggetti rinvenuti nelle concrezioni di terra pressoché al livello delle banchine e soprattutto in prossimità delle pareti laterali della stanza sono con molta probabilità da ritenersi nella loro positura quasi originaria e/o, comunque, in quella risultante dall’azione dei fattori esogeni esercitata in vari modi sulla tomba stessa.
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Si ringraziano: la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, l’Assistente di zona sig. Giuseppe Cossu, l’archeologa Chiara De Santis e tutti gli iscritti alla Società Archeologica Viterbese “Pro Ferento” che hanno collaborato alle operazioni di recupero di preziose memorie del nostro patrimonio storico e culturale.
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Biblioteca e società agosto 2004